Il percorso ad ostacoli per le donne e mamme tra lavoro, gravidanza, maternità: reinventarsi è possibile

Il percorso ad ostacoli per le donne e mamme tra lavoro, gravidanza, maternità: reinventarsi è possibile

Reinventarsi dopo aver attraversato quella giungla di ingiustizie professionali con cui tante donne si trovano a dover fare i conti durante o dopo una maternità.

La prolungata permanenza nella foresta di Jumanji, quel film anni Novanta con Robin Williams che si trova intrappolato in un diabolico gioco di ruolo, è un rigenerante soggiorno in una Spa in confronto a certe esperienze di donne e mamme.

Ritrovare la strada è però possibile. O meglio, accettare di non poter più proseguire quella vecchia e trovarne una nuova. Costruirla da zero, rimboccandosi le mani, facendosi forza, facendo rete.

“Woman power” non è solo uno slogan. Esiste, è un potere reale. Lo abbiamo tutte, solo che spesso ce ne dimentichiamo.

Del resto, c’è qualcosa che le donne non riescano a fare? Alice, quella del Paese delle Maraviglie, pensava a sei cose impossibili prima di fare colazione. E’ un ottimo esercizio, per ricordarsi che in realtà tutto è possibile.

Da un lato la condivisione delle esperienze negative ci fa sentire meno sole. Così anche tu capisci di non essere stata l’unica ad imbatterti in un campo minato ed inizi a farti sentire, ad alzare la voce in un mondo che ci vuole sempre più in silenzio.

Dall’altro, credo altrettanto fortemente nella divulgazione delle storie positive. Che possano essere di spunto ed ispirazione per chi sta cercando di farsi largo in quella strada tutta nuova.

Tra queste c’è l’esperienza di Isabella e il suo progetto Secondo Round, cui voglio dare spazio come dimostrazione che, a volte, quando si chiude una porta (o meglio quando ce la chiudono in faccia), puoi scegliere tu quale altra aprire.

L’esperienza di Isabella

Secondo Round è un progetto che nasce tre anni fa da una passione e da un’esigenza personale che è diventata una professione, quella di consulente alla carriera e all’orientamento professionale.

Mi chiamo Isabella Tosi e mi sono occupata di comunicazione per molti anni, svolgendo mansioni importanti in ambito marketing e ufficio stampa in contesti di alto livello, dopo essere diventata mamma però ho rinunciato alla mia carriera. In parte per scelta, in parte per imposizione aziendale – e da quel momento sono diventata invisibile.

Credevo di aver raggiunto un buon, se non ottimo livello di carriera, che però è stato completamente cancellato da una nuova identità personale, e anche dal fattore età.

Non mi dilungo sulle difficoltà che ho incontrato per ricollocarmi. Ma sono riuscita a ripartire dalla formazione del personale, dedicata a persone disoccupate e inoccupate in cerca di un lavoro.

Nella mia nuova veste, ho incontrato tantissime donne, come me, che avevano le mie stesse difficoltà a trovare un lavoro. Allora per aiutarle ho incominciato a interessarmi sempre più al settore Risorse Umane, a studiare e a comprendere come affrontare un mondo del lavoro cambiato e all’apparenza ostile ad accogliere persone che ne sono uscite o che ne sono state allontanate.

Dall’aiutare nello scrivere il curriculum più adatto, o la lettera di presentazione più efficace, dalla ricerca di annunci e aziende. Fino al supportare durante e dopo i colloqui di lavoro, ma anche semplicemente ascoltare. In questo consisteva il mio contributo e ora è diventato il mio SecondoRound.

All’inizio è nato un blog per dare spazio e concretezza a questi argomenti e ai mie studi. Poi è diventata un’associazione di supporto al reinserimento lavorativo delle donne che per qualsiasi ragione sono uscite dal mondo del lavoro.

I servizi di SecondoRound sono degli strumenti di ricerca attiva del lavoro e si basano soprattutto su una strategia personalizzata per chi è alla ricerca di un percorso di carriera che tenga conto delle proprie attitudini e aspirazioni, anche quelle mutate nel tempo.

Cercare un lavoro è difficile e complesso. Il mondo del lavoro è molto cambiato rispetto a qualche (non importa quanti!) anni fa. E la componente dell’età è fortemente discriminante. Se poi hai una famiglia o dei figli si aggiungono altre componenti che potrebbero sembrare dei deterrenti.

SecondoRound è una condivisione di esperienze sul difficile lavoro del rientro al lavoro dopo una pausa dovuta a importanti cambiamenti di vita. Figli, malattia, cura di parenti anziani, trasferimento, divorzio, licenziamento – e imparare una nuova strategia che aiuti a riscoprire il proprio io-professionale.

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Il percorso ad ostacoli tra lavoro e gravidanza: testimonianze di tante donne tra Mantova ed altre città

Il percorso ad ostacoli tra lavoro e gravidanza: testimonianze di tante donne tra Mantova ed altre città

Avviso: questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 23 settembre 2019.

Centocinquantadue. Sono le donne che in sei giorni mi hanno riferito di essere parte delle malcapitate che si sono trovate senza lavoro durante, o appena dopo, quello che dovrebbe essere uno dei momenti maggiormente tutelati al mondo: la gravidanza.

Di queste, trentasette sono di Mantova, la città in cui vivo e dove è quindi chiaro che il problema esiste. Le altre risiedono in altri comuni.

08/10 A venti giorni dalla partenza di questa iniziativa il numero di donne e mamme che mi hanno raccontato la loro storia è salito a centosessantanove.

Ho deciso di pubblicare qui sotto alcune delle testimonianze, mantenendo l’anonimato per tutelare chi ha scritto.

Qualcuno mi ha detto che “Tanto non servirà parlarne”, invece io insisto nel credere che parlarne sia proprio un primo piccolissimo passo. Nella vita ho imparato che ciò che certamente non fa cambiare le cose è il fare nulla per cambiarle. Magari è vero, tutto rimarrà uguale, oppure no. Nel frattempo però tante mamme che hanno dovuto affrontare difficoltà lavorative per aver scelto di contribuire a portare avanti la specie umana (e viste certe derive che fanno pensare ad una meritata estinzione di massa non si può dire che la scelta non sia coraggiosa), si saranno sentite meno sole.

In una società che tende ad isolarti, sentirsi parte di un insieme, per quanto ammaccato, può fare la differenza.

Una riflessione ed una sensibilizzazione sul tema sono d’obbligo.

Le testimonianze

“I temi trattati mi toccano molto da vicino, poiché a 33 anni, sono rimasta incinta. Non ho scelto di avere un figlio, ho scelto di tenere un figlio, ed ero sicura che questa scelta mi avrebbe ripagata in tutto e per tutto, invece al momento di rientrare in ufficio, dopo la maternità, mi è stato chiesto di non rientrare, di smaltire tutte le ferie perché non mi avrebbero rinnovato un contratto che veniva rinnovato da ormai 3 anni! Io lavoravo in un ospedale religioso, gestito da suore, quelle stesse suore che mi hanno benedetto la pancia e tenuto la mano durante il travaglio, poi mi hanno lasciato nei guai. Questa è in breve la mia storia, che purtroppo ha portato a tanti altri problemi di ordine materiale, morale e psicologico, anche perché ora è quanto mai difficile trovare un nuovo lavoro con una bimba piccola. E quindi… Si… Con tanta tristezza nel cuore, ma anche io comprendo chi oggi in Italia, decide di non fare un figlio!”.

“Io sono nella situazione di essere una mamma separata a cui non hanno rinnovato ovviamente il contratto quando è uscita dalla maternità, e con una gestione della separazione con giudice CTU molto problematica. Le donne spesso sono sole in questo processo quando si devono separare, è molto difficile sia economicamente che psicologicamente”.

“Le discriminazioni in relazione al mio essere mamma sono iniziate a partire dall’università.
Infatti sono rimasta incinta a 21anni, mentre stavo completando il secondo anno di università.
Non avevo i genitori alle spalle, ed è stato un bello shock.
Il tutto è stato condito da battute, dal non puoi farcela, dal “passi solo perché fai pena col pancione” ecc…
Poi siamo arrivati ad un bando retribuito che ho vinto (a cui avevo partecipato prima di restare incinta). Se da un lato ho trovato una responsabile fantastica che mi è venuta molto incontro (dovevo finire le ore prima di partorire). Dall’altro, alcuni dei colleghi pensavano che fossi una privilegiata senza comprendere che era una situazione particolare e delicata e che comunque mi facevo 50 km all’andata e 50 km al ritorno all’ottavo mese di gravidanza e lavoravo tanto quanto loro.
Il primo anno di gravidanza mi sono trovata in uno stato di quasi totale isolamento, mi sentivo sola e inutile… Mi sembrava di servire solo ad allattare e di non avere altro valore.

È arrivato il primo colloquio per insegnare italiano agli stranieri di lingua inglese (il mio livello è un C1). Il colloquio è andato benissimo, la titolare (donna) che mi ha fatto il colloquio era molto entusiasta. Arriva alla fatidica domanda avendo io 24 anni, “vedo che ha un anello, sta per sposarsi?” e io credendola una domanda tanto per cordialità rispondo “beh la proposta c’è, poi staremo a vedere”. Al ché lei sembra più seria “dunque avete intenzione di avere figli?” e lì già mi sentivo in ansia “beh, in verità ne abbiamo già una di quasi un anno e mezzo”. Il gelo, un silenzio di tomba ha invaso la stanza. L’imbarazzo era quasi soffocante.
La conclusione inevitabile con quel “le faremo sapere” è stata come un pugnale nello stomaco.
Sono tornata a casa piuttosto sconsolata e ad oggi non ho ancora avuto il coraggio di partecipare ad altri colloqui. Ho proprio paura di rivivere questa situazione”.

“Sono mamma e psicologa libera professionista. Lavoro con le donne in gravidanza e nel post parto. Come libera professionista ho incontrato non pochi problemi, nidi troppo costosi e per chi sta avviando la propria attività non è il massimo, pochi aiuti economici dal Comune o Regione.
A volte mi sento sola come professionista e tante colleghe scelgono di posticipare di tantissimi anni la scelta di diventare madri.
Non solo: quando resti nuovamente incinta ti ritrovi, dopo aver partorito, a creare una nuova cerchia di pazienti e non è per niente facile!”

“La maternità e il lavoro non sono compatibili. Io ho un figlio. È stata per me durissima, nonostante io sia in un’azienda meglio di mille altre. Ho ridotto al nulla congedi e altro. Mio figlio non si è mai ammalato, in 11 anni di vita… (non è vero, ovvio, ma mai sono stata a casa, se non forse un paio di volte). Ora sto cercando di cambiare atteggiamento io, perché ai figli non serve questo ma, certo, servono soldi a casa. Equilibrio difficile che la legislazione non supporta. O, meglio, non è sufficiente perché poco applicabile. Io resto ottimista. Credo possa essere trovata la quadra. Ma bisogna lavorarci, appunto”.

“Non tutti lo sanno ma aspetto una bimba da sei mesi e…il cinema è iniziato già da prima di rimanere incinta con vari problemi a concepire, uniti a incomprensioni dall’esterno. Quando ho capito che ero troppo stressata ho lasciato il mio lavoro sicuro ma pieno di insidie per chi sta anche solo cercando di essere mamma, per buttarmi nel mio progetto da freelance. Sono rimasta subito incinta e non rimpiango per nulla quella scelta, ho visto (anche perché gestivo il personale) troppe situazioni in cui non avrei mai sopportato di trovarmi!! Ora boh, partita Iva e maternità sono un connubio in cui non avrei voluto trovarmi economicamente parlando, però ce la si fa”.

“Sono una freelance che ha nascosto la gravidanza per paura di non ricevere più incarichi”.

“Quando al lavoro hanno saputo che ero rimasta incinta, non mi è stato più rinnovato il contratto. Parliamo di un contratto a progetto e sono ferma da allora, due anni ormai”.

“Io lavoro in produzione per un marchio di lusso che fa pelletteria, nello specifico cucio cinture in pelle. Marzo 2017: ero apprendista al secondo livello, la mia capo reparto mi dice che la dirigenza ha grandi progetti per me, che mi avrebbero fatto fare formazione per sostituirla in caso di bisogno. Novembre 2017: resto incinta.

Da quel momento in poi non andava bene più nulla di quello che avevo sempre fatto.. la mia adorata capa dava volutamente disposizioni differenti a me e ad altre persone per mettere zizzania. Un giorno, ad esempio, mi ha fatto un cazziatone di 40 minuti dicendomi che mi avrebbe voluto fare una lettera di richiamo perché avevo detto ad un collega di mettersi il grembiule. Non sono stata sollevata da nessun incarico, da nessuna mansione, per tutti i dubbi che avevo sui prodotti chimici e le vibrazioni della macchina da cucire sono stata trattata da pazza. Morale della favola, ho rischiato di perdere mio figlio al sesto mese. Ovviamente ora che sono rientrata al lavoro sono diventata l’ultima ruota del carro”.

“Sono giornalista e insegnante di yoga. Dopo aver partorito, il giornale per il quale lavoravo da 3 anni non mi ha rinnovato il contratto…”.

“Ad un colloquio di lavoro, quando hanno scoperto che avevo una figlia, non ero più perfetta per quel posto”.

“Io ho perso il lavoro 3 volte. Le prime due perché avrei potuto fare un figlio, la terza perché il figlio alla fine l’ho fatto. A 38 anni. Ora ho un meraviglioso bimbo di 10 mesi, ho ripreso a ricostruirmi professionalmente appena mi è stato chiesto di licenziarmi (a 3 mesi del pupo), sto ricevendo la maternità obbligatoria a rate”.

“Sono rientrare dalla maternità e sono stata licenziata, avevo un tempo indeterminato”.

“Io non sono ancora mamma, ma la scelta è purtroppo condizionata proprio da quello che hai detto”.

“Io ho dovuto lasciare il mio lavoro e ricominciare da capo per entrambe le mie gravidanze, in due aziende diverse”.

“Sono educatrice specializzata, per cui si può capire che non sono certo una di quelle che inorridisce davanti ad un bambino.
Nonostante ciò facevo la responsabile di sala in un ristorante quando rimasi incinta. Non era cercato, ma ovviamente l’ho tenuta. Ormai ha 13 mesi la mia bellissima bimba.
Ho iniziato a lavorare in questo posto convinta da un mio amico, nonché manager, convincermi proprio perché mi disse: il proprietario ha altri ristoranti, i dipendenti sono tanti, non è un posto dove ti lasciano a casa se resti incinta.
Lo comunico al manager ancora prima di fare una visita, per correttezza, perché avesse modo di organizzarsi.
 
Da quel momento è stato tutto un dirmi che avrebbero cercato di mandarmi lettere di richiamo con ogni scusa, che erano delusi. Persone che fino ad una settimana prima erano tutte un “meno male che ci sei”, io che mi facevo 14 ore filate di lavoro senza pause al giorno, senza straordinari pagati, saltando il giorno di riposo, che sistemato dove dovevo e organizzavo ogni cosa. Sono andata in maternità anticipata e appena scaduto il contratto non mi è stato rinnovato.
 
Quel mio amico manager e la sua compagna (che era la mia migliore amica) mai più sentiti e nemmeno un auguri alla nascita di mia figlia.
Ora sto cercando lavoro con tutte le difficoltà del caso, tra l’altro tra me e il mio compagno non va bene ed oltre a cercarmi un lavoro devo per forza rientrare negli orari assurdi del nido (8-16) perché probabilmente ci separeremo. Ma non posso permettermelo finché non trovo un lavoro. E per finire, a 28 anni vengo ritenuta vecchia perché non possono farmi contratti di apprendistato.
 
Questo è avere un figlio in Italia”
 

“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza. 

Toxoplasmosi e gravidanza. Come sopravvivere (soprattutto agli esseri umani) quando hai un gatto

Toxoplasmosi e gravidanza. Come sopravvivere (soprattutto agli esseri umani) quando hai un gatto

C’è una parola, o meglio dire una minaccia, che ogni donna sente pronunciare appena rimane incinta. Toxoplasmosi.

Come sopravvivere quando si abita con un gatto? No, non solo come sopravvivere al micio, ma in particolare agli esseri umani che ti diranno che devi liberarti dell’animale. Il felino che ami di più al mondo.

Qui sotto trovate una selezione di risposte severe ma giuste, da usare a piacimento. E qualche indicazione pratica.

Facciamo però un passo indietro. Toxoplasmosi. Dodici lettere che non avevi considerato nella tua vita, finché non ti ritrovi a chiederti se sei immune oppure no.

Per scoprirlo c’è un semplice esame del sangue da fare, uno dei primi del lungo lunghissimo elenco che ti aspetta durante i nove mesi.

Se il risultato è positivo, ovvero se hai la fortuna di aver già fatto i conti con il batterio (di solito nessuno se ne accorge, a meno che non vengano fatte le analisi specifiche per verificarlo), allora tutto a posto. Almeno per questa singola potenziale preoccupazione.

La Toxoplasmosi, per gli amici toxo, senza voler entrare nello specifico e invadere competenze mediche è una malattia provocata dall’infezione di un parassita, trasmettibile all’uomo attraverso animali come i gatti, il cibo, i vegetali contaminati.

Bene. Se il risultato è quindi negativo, ovvero non sei immune e c’è il rischio che tu possa prenderti la toxo durante la gravidanza, ecco che dovrai ripetere gli esami ogni mese e l’ansia sarà la tua amica quotidiana.

Va beh, è chiaro che l’ansia non ti abbandonerà in ogni caso finché non avrai la totale certezza che la tua creatura stia bene e sia in salute e che tu abbia fatto di tutto per proteggerla. Insomma, fino a che non avrà almeno diciottoventanni.

Dicevo…? Sì, tra le mille angosce giornaliere ci sarà quella che riguarda la toxo.

Gli affettati e qualunque genere di carne cruda saranno banditi nella stessa misura in cui Robin Hood venne allontanato dal Regno di Nottingham.

Stessa sorte toccherà ai vegetali crudi. Off limits, a meno che non siano prima stati lavati con Amuchina. Procedura che richiede di essere a casa propria, una buona dose di tempo (in base alle istruzioni, il vegetale deve stare a bagno circa mezz’ora) e la speranza di non procurarsi un principio di avvelenamento. Arrivata alla fine dei nove mesi, io credo di essere fatta per l’80% di Amuchina.

Perché quando ti illustrano i danni che la toxo può procurare all’esserino che ti stai impegnando con tutta te stessa a portare al mondo, non sei mai abbastanza sicura di aver lavato la verdura a sufficienza. Oppure di mangiare carne abbastanza cotta. Risultato: al ristorante blocchi il cameriere con un terzo grado nemmeno fossi diventata un’allieva di Quantico in missione.

Veniamo ai gatti. La realtà, almeno in base a quanto detto dai medici che ho consultato, è che sia maggiore la probabilità di prendere la toxo da un’insalata appena raccolta dalla terra dell’orto del nonno (beato chi ha un nonno con l’orto) che dalla convivenza con un gatto. Se il gatto non esce, la possibilità si assottiglia quasi allo zero. Se il gatto se ne va in giro, è comunque una eventualità non così frequente.

Per quanto tu, ad esempio io, possa essere dieciquindici anni che stai a contatto (stretto contatto) con il felino domestico, e per quanto una volta saputo di essere incinta e non immune tu possa aver preso tutte le precauzioni possibili (pulire la lettiera con guanti, procurarti salviette per il pelo, no baci), troverai sempre qualche persona che se ne uscirà con un parere assolutamente non richiesto.

Per te è una sofferenza trattenerti dall’affogare la faccia e i dispiaceri della giornata nella morbida, calda, accogliente pelliccia dell’animale tutto fusa. Lo è anche evitare che zampetti nella zona del tuo cuscino, resistendo a quegli occhioni che sembrano chiederti “Umana scusa, perché mi stai facendo questo? Dormivamo appiccicati fino a ieri, tu ed io”.

Avere poi a che fare con chi parla senza sapere è veramente troppo per il tuo sistema nervoso già compromesso.

Le frasi (storie di vita vissuta) che potresti sentirti dire se hai un gatto e aspetti un figlio… E qualche ottimo spunto di risposta

“Forse dovresti liberarti del gatto” Forse dovrei liberami di te.

“Sei sicura che non sia meglio tenerlo sempre fuori casa ora, vista la situazione?” In realtà mi chiedo perché ho fatto entrare te, in casa.

“Adesso che sei incinta lo lavi bene prima di toccarlo, giusto?” Certo, un po’ di Amuchina sui pomodori, un po’ sul pelo del micio e via.

“Magari non è stata una cosa saggia prendere un gatto se poi sapevi di volere figli” Tralasciando che il gatto ce l’ho da quando avevo diciassette anni, magari non è una cosa saggia stare qui a parlare con te.

“Oddio ma adesso che nasce la bambina come farai per il contatto con il gatto?” Guarda, la fortuna è che mia figlia non dovrà avere contatti con te.

“Conoscevo una con un gatto ed un bimbo piccolo, e il gatto ha cercato consapevolmente più volte di soffocare il bambino” Beh è risaputo che i piccoli felini siano spietati serial killer mandati per sterminare la razza umana, è normale inizino dai neonati. Comunque stai attento, perché il mio gatto ti sta fissando.

Alcune indicazioni pratiche che ho seguito come prevenzione alla Toxoplasmosi

Non baciare il gatto

Usare dei guanti (vanno bene in lattice) per pulire la lettiera

Evitare di far dormire il gatto molto vicino al mio cuscino del letto

Lavare bene e spesso le mani

Lavare con Amuchina ogni genere di verdura, se da magiare cruda

Lavare con Amuchina la frutta da mangiare con la buccia

Non mangiare fuori casa frutta o verdura cruda

Cuocere molto bene la carne, meglio troppo cotta che forse non abbastanza

Non mangiare affettati, concessi solo quelli cotti ad esempio sulla pizza una volta ogni tanto

 

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Il percorso ad ostacoli tra il (non) poter conciliare il lavoro con l’avere figli: parla una mamma avvocato di Mantova

Il percorso ad ostacoli tra il (non) poter conciliare il lavoro con l’avere figli: parla una mamma avvocato di Mantova

Da quando ho deciso di iniziare a raccogliere le testimonianze di quelle donne che si sono trovate in difficoltà nel riuscire a conciliare il proprio lavoro con il crescere dei figli, mi è stato subito chiaro che non importa quale mestiere tu faccia.

Se sei donna e madre, almeno una volta nella vita hai probabilmente dovuto scontrarti con una realtà che non ti tutela a sufficienza.

Certo, le eccezioni ci sono e spero di poter riportare anche esperienze positive perché siano di esempio, di spunto e soprattutto per non perdere le speranze. Nel frattempo però si può considerare che, in percentuale, queste siano l’equivalente delle macchine di colore giallo che vedevi passare da bambino quando il gioco era “Vince chi vede per primo una macchina gialla”. Invece passavano solo quelle nere e grigie.

Del resto non è forse vero che quando un’azienda, un ufficio, un’attività privata, un ente pubblico, assume una donna incinta, rinnova un contratto durante una maternità, oppure sposa delle esemplari politiche di conciliazione famiglia-lavoro, la questione diventa una notizia raccogliendo ammirazione e stupore? Ecco, il punto è proprio questo.

Tra le mamme di Mantova, la mia città, che mi hanno chiesto di dare loro voce c’è un avvocato. Qui sotto pubblico la sua testimonianza. Lei fa una richiesta precisa: regolamentare maggiormente gli orari delle udienze.

L’obiettivo è sempre uno ed è la sensibilizzazione. Se anche una sola persona rifletterà su tutto questo non sarà certo stato tempo sprecato.

 

LA TESTIMONIANZA 

“Sono un avvocato e durante l’ennesima udienza penale nella quale ero stata convocata per le 9,00, dato che stavo aspettando il mio turno (spesso veniamo tutti convocati alle 9,00 con la conseguenza che poi si formano tempi di attesa interminabili), ho espresso, per l’ennesima volta, la mia preoccupazione per il fatto che fosse quasi mezzogiorno e con tutta probabilità non avrei fatto in tempo ad andare a prendere i miei figli all’uscita da scuola alle 13.

Mi è stato risposto: “Manda una segnalazione tramite mail alla Camera penale e poi vediamo”.

Ho mandato la mail, così come ha fatto un’altra collega nelle mie condizioni, chiedendo che venissero regolamentati gli orari delle udienze in modo più razionale.

Risultato? Nessuno.

Nessuna risposta, segnalazione totalmente ignorata.

Di lì a qualche mese, ad un convegno ho sentito dire dalla relatrice di turno che le madri avvocato devono sapersi organizzare coi figli in modo da poter restare in udienza senza patemi. Voilà. Capito? Poi provaci, tu, a insistere sul fatto di dover fare i salti mortali per lavorare ed essere una madre presente. Io ho abbassato la testa e non ne ho più parlato con nessuno dei “piani alti”.

Ho chiesto a questa mamma di provare a riassumere la sua giornata tipo, nonostante si parli di una professione con imprevisti quotidiani, per poter dare un’idea più chiara delle difficoltà. Oltre al costante senso di precarietà in cui vive una madre lavoratrice, obbligata a fare affidamento sulla disponibilità di terzi che, comprensibilmente, possono non garantire di esserci sempre.

Mary Poppins non esiste e bisogna farci i conti.

“In verità non c’è una regola, anzi…Però potrei provare a sintetizzare come segue: ore 8,00 accompagno i miei figli a scuola, passo la mattina in ufficio o in tribunale (per udienze e/o mansioni di cancelleria). Rientro per le 12,45 per prelevare i figli a scuola e preparare il pranzo. Trascorro il primo pomeriggio a sistemare gli zaini (libri, quaderni, merenda, abbigliamento eventuale per attività motoria…), e il pomeriggio fino alle 16,00 circa è dedicato al controllo compiti, dopodiché sono in ufficio fino alle 19,00/20,00 (nei pomeriggi – due – in cui stanno col papà, – uno – in cui stanno con la baby-sitter), oppure lavoro a casa. La sera può capitare che debba lavorare. In questo caso procedo, dopo aver messo a letto i figli (verso le 21,30). Nei casi di imprevisto mi appoggio a mia mamma (attualmente ko), alla baby-sitter (praticamente una zia acquisita, tanto è il grado di confidenza) o al papà”.

 

 

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Elena Caracciolo giornalista ufficio stampa consulente comunicazione gestione social e siti Mantova Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme. 

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Volersi bene per ciò che si è nonostante il frullatore psicologico e fisico chiamato gravidanza: il mio incontro con Elisiane

Volersi bene per ciò che si è nonostante il frullatore psicologico e fisico chiamato gravidanza: il mio incontro con Elisiane

Promemoria sempre valido: volersi bene per ciò che si è.

Un mantra che dovremmo ripeterci ogni giorno, ogni volta che ci guardiamo allo specchio e ci vediamo troppo grassi o troppo magri, con i capelli non in ordine, con qualche ruga in più di ieri, con le occhiaie, con il viso stanco, o con le cicatrici accumulate in anni di vita.

C’è chi però per mestiere, e voglio parlare proprio di lei, riesce a farti vedere bellissima nonostante quei momenti in cui anche lo specchio di casa ti sembri decisamente contrariato all’idea di riflettere la tua immagine. Del resto tu lo capisci benissimo, il tuo specchio.

Scrivo questo pezzo mentre mi trovo ad una visita di routine in ospedale. Ci sono le solite circa quattrocinquesei ore di attesa sufficienti a farti sorgere dubbi sulla tua intera esistenza e a farti venire in mente l’esatto modo in cui avresti dovuto replicare alle medie, durante quel litigio con il compagno di banco.

Quindi meglio incanalare il nervosismo in qualcosa di positivo, tipo scrivere.

Comunque, sono circondata da tante altre donne incinta agli ultimi giorni di gravidanza.

Le vedo tutte bellissime.

Esattamente il contrario di come vedo me stessa da quando il mio corpo ha iniziato a modificarsi in maniera considerevole per fare spazio alla creaturina che ormai non vedo proprio l’ora di conoscere.

Ogni volta che qualcuno mi dice “Come sei bella!”, da diverse settimane io abbasso gli occhi e rispondo con “Guarda, mi sento una grossa palla ingombrante. Sono una palla!”. Ed è così che mi sento tra smagliature che non avevo, cellulite che non avevo, gambe e seni gonfi, stanchezza perenne (lo so, quella è destinata a peggiorare), goffaggine, nessun indumento che più mi stia bene come prima. Anzi, nessun indumento che mi entri.

Insomma la gravidanza non è una passeggiata. Fa a pugni con i messaggi che fin da piccoli si è abituati a ricevere dall’esterno in una società che richiede la perfezione.

Proprio nel periodo in cui tu prenderesti a pugni quasi chiunque, a partire da quelle che “Pensa, io avevo preso solo ottonove chili quando ero incinta e pochi giorni dopo il parto sono tornata più magra di prima”.

Spoiler: la perfezione non esiste, così come quelle che hanno preso i leggendari otto chili.
“Dolce attesa” non è forse il termine più adatto per definirla.
Gli effetti collaterali fisici e psicologici sono infiniti. Un frullatore a giro continuo di stati d’animo ed emozioni contrastanti.
Nessuna mamma è mai davvero preparata, perché come sempre la teoria è un conto ma la pratica tutt’altra faccenda.

Ho conosciuto la fotografa Elisiane Bianchini per caso, in un bar mentre facevo colazione alla mia trentesima settimana di gravidanza. La realtà è che stavo vivendo una storia d’amore con un croissant alla Nutella e già sentivo i sensi di colpa abbracciarmi come vecchi amici, ma questa è un’altra faccenda.

Elisiane mi ha chiesto di farle da modella per alcuni abiti pensati per le sue clienti mamme.
All’inizio ero incerta. Non avevo mai preso in considerazione di prestarmi per un servizio fotografico e men che meno nella versione “Grossa palla ingombrante” che ero diventata.

Alla fine ho accettato e ancora oggi la ringrazio per avermi fatto vivere questa esperienza.
I suoi scatti davvero belli e professionali (tutti quelli pubblicati in questa pagina sono stati fatti da lei) insieme alla sua sensibilità, mi hanno ricordato l’importanza di apprezzare ognuno di questi chili in più e questa pancia che poi è la casa di un mini umano cui il mio corpo ha dato vita con un lavoro immenso che ok è scienza, ma per quanto mi riguarda resta magia.

Elisiane opera tra Mantova e Villafranca, è specializzata in servizi per mamme in attesa e neonati ed è un esempio di persona che si è voluta mettere in gioco.

Anni fa svolgeva una professione completamente diversa e quando sono nate le sue figlie ha scoperto che la cosa che più le piaceva era fotografarle. Detto fatto. Ha deciso di buttarsi nel cambiare lavoro e formarsi per diventare fotografa professionista.

Conoscendo la sua storia sono stata ancora più felice di essermi prestata ai suoi occhi e credo ci sia bisogno di donne che ti ricordino come sia possibile provare a diventare ciò che si vuole e volersi bene per ciò che si è.

 

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