Succede che quando mi imbatto nella gentilezza, la prima cosa a cui penso è che non vedo l’ora di poterla in qualche modo raccontare e condividere.
Questa volta mi è successo una sera nella mia città. Al Grifone Bianco.
Con il mio compagno abbiamo deciso di concederci una cena fuori, naturalmente insieme alla nostra bimba.
Andare al ristorante è ancora sempre un terno al lotto. Ci impegniamo a rispettare al massimo gli orari stabiliti dalla creaturina – ovvero cena alle 19 massimo 19.30 e scappare verso le 20/20.30 – ma a volte lei ci fa chiaramente capire che preferiva stare a casa attaccata a me e che giustamente poco le interessa la vita serale.
Premesse a parte sulle difficoltà di conciliare la routine di furbina e dei suoi nove mesi con il mio legittimo desiderio di non cucinare ogni tanto, accennavo appunto alla gentilezza.
L’ho trovata al Grifone Bianco di piazza Erbe, nel centro di Mantova
A dire la verità erano almeno un paio d’anni che non andavo lì a cena. Per nessun motivo particolare. Non era più capitato di andarci.
L’altra sera invece ho detto “perché non proviamo?”. Erano le 19.15, chiaramente eravamo i primi perché le altre persone a quell’ora in estate sono a fare altro.
Il posto è più elegante e raffinato rispetto ad altri del centro città e la mia preoccupazione è stata subito “oddio adesso Beatrice tirerà giù mezza tavola, farà casino, pasticcerà con il cibo e ci guarderanno male sperando di non rivederci”.
Un pensiero, il mio, dovuto al fatto che in altri posti è capitato esattamente così. È capitato di sentirmi poco desiderata con una bimba piccola – anche se non piange praticamente mai, ma non essendo un robot si muove e si fa sentire come ogni creaturina.
Al Grifone Bianco è andata nel modo esattamente opposto.
Appena arrivati i camerieri ci hanno sorriso (preciso che quando si avvicinavano c’era la mascherina posizionata correttamente) e accolto con una gentilezza che ho percepito essere sincera e non soltanto professionale e di facciata o convenienza.
Ci hanno immediatamente chiesto se volessimo un seggiolone – no, non è una banalità. Non accade ovunque.
Il cameriere che ci ha servito si è rivolto carinamente più volte a Beatrice.
Pochi minuti dopo stavo già dicendo “guarda come sono carini e gentili, che bello!” e il mio piacevole stupore è aumentato quando c’è stata l’accortezza di portare anche un bicchiere piccolo per mia figlia.
Non ho finito.
Al momento dell’ordinazione ho chiesto un piattino con qualche spaghetto per lei – gli spaghetti – faccio quasi senza dirlo – sono finiti in buona parte sulla tavola, sul seggiolone, sui vestiti (anche miei), per terra, e forse sono arrivati fino a casa tua.
Spaghetti misti a briciole di pane e una buona quantità d’acqua.
Insomma un casino.
Mi sono scusata con il cameriere, offrendomi per restare a fare le pulizie dopo cena, e la risposta – di nuovo con estrema cortesia e comprensione – è stata “non si preoccupi, i bambini cos’altro dovrebbero fare..”.
E dato che di ristorante si parla, un appunto sui piatti: l’Alessandro Borghese che c’è in me darebbe un 9 pieno al menù e anche al conto, già che ci siamo con i voti.
Oltre al servizio da 10, ho mangiato davvero bene e tornerò sicuramente senza far passare molto tempo.
Nota per i malfidenti
Non conosco il proprietario del locale e nemmeno chi ci lavora. Ho deciso di scrivere questo articolo solo quando la cena era quasi finita e senza che il personale lo sapesse, quindi nulla è stato fatto apposta.
“Mamma…e adesso?”. Scrivimi per raccontare la tua esperienza.
Elena Caracciolo – Sono giornalista pubblicista, freelance, mi occupo di comunicazione ed uffici stampa per privati, enti pubblici, aziende e associazioni di volontariato, dalla consulenza alla strategia, gestisco siti web e social e sono ideatrice di progetti rivolti a donne e mamme.
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